Con il termine colloquiale “mantenimento”, si intende la somma di denaro che uno dei due coniugi versa all’altro, a seguito di separazione o divorzio.
Il riconoscimento di tale diritto ha la finalità di consentire alla parte economicamente più svantaggiata di poter mantenere un tenore di vita simile a quello avuto in costanza di matrimonio.
Bisogna però sottolineare che tale versamento si differenzia a seconda delle fasi: in quella di separazione prende il nome di “assegno di mantenimento” mentre in quella successiva (quella del divorzio), prende il nome di “assegno divorzile”.
Con la presente disamina prenderemo in considerazione i metodi più comunemente utilizzati per cercare di non pagare l’assegno divorzile. Bisogna specificare che sono pratiche assolutamente non legali e che possono essere smascherate con relativa facilità, portando con sé la possibilità di una condanna penale per violazione degli obblighi alimentari.
Negli anni la casistica riscontrata durante le nostre indagini commissionate per evidenziare comportamenti mirati ad evitare il pagamento dell’assegno di divorzio sono essenzialmente tre:
1 Simulazione di licenziamento da parte del soggetto condannato al pagamento;
2 Simulazione di riduzione dell’orario lavorativo da parte del soggetto condannato al pagamento;
3 Simulazione di drastica riduzione del giro d’affari nel caso il condannato sia un libero professionista oppure un imprenditore
Fingere il licenziamento
Il soggetto condannato al pagamento, accordandosi con il datore di lavoro, finge di aver perso l’impiego chiedendo pertanto una revisione dell’assegno di mantenimento al tribunale. Il licenziamento avviene realmente, ma il soggetto continua a svolgere la propria attività lavorativa “in nero”.
Questa pratica porta con sé diversi rischi, sopratutto legati ai profili penali dal punto di vista contributivo (senza tralasciare quelli a cui si espone anche il datore di lavoro).
Incaricando un investigatore privato è possibile svolgere un’attività volta ad accertare e documentare il proseguire dell’attività lavorativa del soggetto condannato al pagamento. Importantissimo sarà dimostrare una continuità nel tempo che possa avvalorare la tesi.
Fingere una diminuzione dell’orario lavorativo
Il soggetto condannato al pagamento, sempre in accordo con il datore di lavoro, simula una diminuzione dell’orario lavorativo da full-time a part-time con conseguente riduzione del compenso. Ovviamente la parte eccedente verrà corrisposta dal datore di lavoro “in nero”.
Anche in questo caso il soggetto si rivolgerà al tribunale per richiedere una revisione dell’assegno di mantenimento tenendo in considerazione la nuova retribuzione in busta paga.
Come nel caso precedente un’agenzia investigativa può accertare quante ore e quanti giorni a settimana il soggetto trascorre a lavoro, stilando poi una relazione che comprenda tutti gli elementi utili per documentare la falsità della riduzione dell’orario lavorativo.
Fingere un drastico calo del giro d’affari da parte del condannato nel caso sia un libero professionista oppure un imprenditore.
In questi casi il soggetto simula un calo dei guadagni evitando il più possibile di fare fatture per le prestazioni rese, oppure utilizzando altri metodi di elusione come far fatturare le prestazioni ad un altro soggetto.
In molti casi però la persona interessata non varia il suo tenore di vita, in quanto le possibilità economiche non sono realmente cambiate.
Pertanto continuerà a frequentare locali costosi, ad acquistare in negozi di livello ed utilizzare beni di lusso come autovetture costose ed onerose da mantenere.
In molte indagini che ci sono state commissionate è stato possibile dimostrare che il soggetto ha continuato a mantenere lo stesso tenore di vita che aveva in passato, senza rinunciare a frequenti cene in ristoranti costosi o pomeriggi di shopping in negozi di brand famosi. Il materiale prodotto è stato poi di fondamentale supporto al committente per resistere alle richieste di riduzione dell’assegno di divorzio.